LA FIABA DEL VERDE

 

Aveva quel brutto difetto, VERDE, diceva un sacco di bugie.
Non era facile capire quando tutto fosse cominciato.

Ma il fatto di stare sul tavolo con le CARTE nelle sale da gioco,
secondo quanto decisero a Venezia nel XVI secolo,
lo aveva spinto a prendere la vita più alla leggera.

«Tutto dipende dal caso», ripeteva VERDE, e si toglieva
ogni preoccupazione. Come non bastasse, decisero
di metterlo sul denaro, nelle banconote del DOLLARO americano.

Accadde nel 1792 e le monete vennero mandate in pensione.
Così VERDE divenne il simbolo della ricchezza nuova,
quella un po’ sfacciata, di chi non si preoccupa di nessuno,
basta l’apparenza.

In parte però questo suo carattere lo doveva
alla chimica. Tra gli ANTICHI, sia il greco
Teofrasto che i romani Plinio e Vitruvio ne lamentavano i “capricci”.

Secondo le formule astruse ma geniali di chi i colori li produceva,
infatti, VERDE era definito “instabile”.

A volte credevi che avrebbe colorato il tessuto con una precisa
sfumatura, e invece, all’improvviso, ecco che appena lo applicavi
sulla stoffa, o su una parete, quello se ne andava per gli affari suoi.

E quando ci si spostò a produrlo, anziché
con fiori e erbe, con sostanze artificiali,
nei LABORATORI, poteva diventare velenosissimo,
come il VERDERAME.

Magari fu anche a causa di questo che VERDE
cominciò a mentire e a inventare di essere chi non era.
Gli ci sarebbe voluta più pazienza e avrebbe capito
di avere un dono straordinario, una cosa vera e reale
che possedeva solo lui: il “pollice Verde”, appunto.

Ma se ne accorse molto tempo dopo, e se lo fece,
fu per merito di un ALBERELLO.

Un piccolo arbusto smilzo e contorto, che VERDE incontrò
una domenica di giugno, mentre se ne andava in campagna.
Quel mattino, mentre cominciava la salita che portava
sulla COLLINA, VERDE si fermò all’improvviso,
perché sentì una voce lo chiamava.

«Buongiorno signore», disse la vocina, che era bassa ma acuta.
«Mi perdoni se interrompo la sua passeggiata,
ma potrebbe per favore aiutarmi?».

Ci volle un po’ a VERDE per capire da dove
provenisse il suono. Guardò verso l’alto, ma niente.
Quindi si piegò e scrutò il terreno.

«Sono qui», si sgolò la vocina. Verde distinse un bastoncino,
almeno questo gli sembrò, dal fusto tanto storto da somigliare
a un punto interrogativo. Scoppiò a RIDERE.

«Oh, lo so», insistette con tono compito la vocina,
«sono piuttosto magretto, ma un giorno diventerò
quello che la natura mi ha destinato ad essere».

«Ah sì?», domandò VERDE, curioso. «E chi saresti tu?».
«Io sono il NOCCIOLO», disse con fierezza l’alberello.

«Sono originario dell’ASIA MINORE.
La mia famiglia è del ramo delle Betulaceae, Corylus per la precisione».

«Frena, frena» gli disse VERDE, spazientito.
«Non mi snocciolare tutte queste notizie da enciclopedia,
che noia, ti prego». Intanto però si avvicinò di più
per osservare meglio quell’esserino curioso.

«Scusa se te lo chiedo, ma sei sicuro di essere un albero?
Sembri un bastone e nient’altro, sei marroncino, spelacchiato, e nudo».

«Non dovrebbe giudicare dalle apparenze, signore», fu
la risposta severa del Nocciolo. «Se le sembro così,
è a causa degli uomini che mi hanno abbandonato
in questo BOSCHETTO, piantandomi a terra e dimenticandomi.

In precedenza sono stato strappato con violenza
da mia madre per diventare un bastone da passeggio.
Mi hanno spellato, scartavetrato, e poi passato con una terribile
vernice che mi ha fatto tossire per notti intere.

E quando infine mi hanno piantato qui a terra,
per raccogliere dei FUNGHI, per disattenzione mi hanno lasciato.

Io, nonostante il veleno e la mancanza di cure
che mi erano toccate, mi sono sforzato di tirare
fuori tutte le energie e far crescere le RADICI.

Può vedere lei stesso», aggiunse il Nocciolo. «Abbiamo
radici molto profonde, noi, in famiglia e questo ci permette
di essere solidi e affidabili. Non tradiamo mai, non mentiamo».

«Oh, non ricominciare con questa storia della famiglia»,
rispose VERDE, anche se si sentiva a disagio
per essere stato indelicato.

«Dimmi semmai che idea avevi quando mi hai chiesto aiuto.
Io non so se sono quello giusto, sai.
Sono un tipo, come dire, ecco sì, fanfarone,
GIOCHERELLONE, spiritoso, superficiale e inaffidabile».

Il tono di VERDE  divenne quasi triste.
Ma Nocciolo non sembrò spaventato da quella descrizione.

Invece, con uno sforzo, piegò i rami striminziti
verso VERDE e gli chiese: «Signore, potrebbe
ABBRACCIARMI?». «Abbracciarti?», gli fece eco
Verde, stupito. Era una cosa che non gli aveva mai domandato
nessuno in tutta la sua vita.

Ma nell’istante in cui rifletté su questo, avvertì delle minuscole
punzecchiature farglisi addosso. Erano le BRACCIA di Nocciolo
che s’erano spinte verso di lui. Fu una sensazione così nuova
e strana, per VERDE, che si sciolse.

Si sciolse come solo l’affetto e la tenerezza sanno farci
sciogliere, e per i colori le cose non vanno in modo diverso
che per gli umani.

Quell’abbraccio funzionò come
un potere stregato: i miseri bastoncini di Nocciolo
si riempirono di un’infinita quantità di piccole,
allegre FOGLIE ovali, con i margini seghettati
e un lungo picciolo, d’un VERDE incantevole,
più scuro di sopra e più chiaro di sotto.

Chiunque quella domenica si trovò a passare di lì,
per cercare aria buona e spensieratezza, si fermò
ad AMMIRARE il piccolo Nocciolo.

La meraviglia che regalava era così intensa che tutti,
allontanandosi, si prendevano chi per mano,
chi sotto braccio e proseguivano la passeggiata più quieti,
fiduciosi e felici di prima. Da quel giorno
VERDE e Nocciolo divennero amici inseparabili.

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