LA FIABA DEL GRIGIO

La sensazione che GRIGIO
aveva avuto da subito
era stata esattamente quella:
d’essere spaiato.
Proprio come un calzino in lavatrice.
Gli altri ce l’avevano un gemello
o almeno un opposto, ma lui niente.
Rimaneva solo e soltanto GRIGIO.
E poi, a ben riflettere, GRIGIO com’era?

Grigio come la roccia della montagna
o il mare in inverno? Grigio come il cielo
d’autunno o come la terra arsa dal gelo?
Più come le nuvole o come la polvere?
Grigio come la tristezza
o invece grigio come la materia grigia,
che è l’altro nome
del prestigioso cervello?

C’era un alone indistinto
che si muoveva attorno al suo nome,
GRIGIO lo sapeva bene,
e questo gli infondeva
una grande insicurezza.
Era una mattina fredda e nebbiosa.
La città scompariva e allora GRIGIO decise
di lasciarsela alla spalle.
Voleva raggiungere la montagna,
dove il silenzio gli appariva più grande,
ma anche più quieto.

GRIGIO raggiunse una macchia
di abeti e si sedette a riposare.
Mandò a memoria tutto quello che sapeva.
Che il grigio non era un colore capostipite,
e tuttavia anche lui,
che aveva una nascita un po’ fumosa,
si declinava in una schiera
molto variegata di distinzioni.
Grigio agata, come la pietra.
Grigio cadetto, che s’intrecciava al blu.
Grigio talpa, che però qualcuno diceva
fosse piuttosto marrone.

Alla fine, si arriva sempre
allo stesso punto.
GRIGIO era la tristezza, la mestizia,
la vecchiaia. Non era giusto.
Perché non poteva avere anche lui un gemello
in cui riconoscersi?
E proprio mentre ribadiva
quel desiderio struggente,
quel gemello gli si presentò davanti,
come se fosse uscito dal suo sogno.
GRIGIO non credette ai suoi occhi!

Era grigio come lui.
E d’una bellezza incredibile.
«Buongiorno»,
disse GRIGIO scattando in piedi.
«Buongiorno»,
fece di rimando lo sconosciuto.
La sua pelliccia riluceva
e aveva occhi abbaglianti.
«Posso chiederle il suo nome?»,
prese coraggio GRIGIO.

L’altro rimase un istante interdetto. Non
gli accadeva da molto,
moltissimo tempo che qualcuno
non lo riconoscesse.
Davvero esisteva qualcuno
che ignorava chi fosse?
Squadrò GRIGIO per capire
se stesse mentendo,
ma si accorse che no, era sincero,
sincero come un agnello.

«Io sono il Lupo», rispose.
«Il Lupo grigio», precisò.
«Appartengo alla specie dei Canis lupus
nella classificazione di Linneo, 1758».
«Lupo grigio?», balbettò,
emozionato GRIGIO.
«È quello che ho detto»,
ripeté con un certo fastidio Lupo.
«Anch’io», azzardò GRIGIO.
«Anche tu che cosa?», lo incalzò Lupo.

GRIGIO si fece coraggio.
«Anche io sono GRIGIO», precisò.
«Non un lupo. Solo GRIGIO».
«Allora temo», disse Lupo, serio,
«che nemmeno la tua sia
una vita semplicissima».
«Non proprio», ammise GRIGIO.
«Anche se», si sforzò di proseguire,
«proprio non capisco perché.
Che cosa c’è che non va in me, in noi?».
«Tutto e nulla», disse, enigmatico, Lupo.
E raccontò la sua storia.

«Fin dalla notte dei tempi,
la mia specie è considerata
piena di ladri, subdoli, nemici e crudeli.
Le divinità nell’antica Grecia
ci usavano come strumento
per punire i mortali o vendicarsi
degli altri dei. Nei loro racconti,
che si chiamano miti, spesso
c’è qualcuno che si traveste o si trasforma
nelle nostre sembianze.

Ci usano per parlare
del difetto più temuto: la ferocia,
io sono il simbolo di questo
secondo gli umani».
Lupo grigio concluse:
«Temo che la colpa sia della fierezza,
di quella caratteristica che abbiamo e
che ci rende molto soli,
in qualche modo persino spaiati».
GRIGIO sussultò:
era la sua stessa,
identica sensazione.

Presto si affacciò la sera
e Lupo disse che doveva andare.
Intorno al lupo aleggiava il mistero.
GRIGIO osservò
la sua sagoma elegante sparire.
«GRIGIO è il colore del mistero»,
pensò GRIGIO. E la cosa gli piacque.
Intanto la luna era salita in cielo.
E cominciò a narrare.

«Moltissimo tempo fa»,
raccontò la Luna,
«in una lunga notte d’inverno,
scesi sulla terra per scoprire
i misteri che la abitavano.
Ma la mia veste era troppo ampia.
M’impigliai, nel bosco,
tra i rami degli alberi.
E non sarei mai riuscita a liberarmi
se non fosse giunta una splendida,
meravigliosa creatura.
Del tuo stesso colore».

«Davvero?», chiese GRIGIO.
«Certo», continuò la luna.
«Era Lupo, Lupo grigio».
«C’innamorammo», ricordò la luna.
«E quella notte
la trascorremmo a giocare
e a raccontarci le nostre vite.
Ma poi venne l’alba e ci separò per sempre».
La tristezza le percorse la grande faccia.
«Non vi siete mai più incontrati?»,
fu l’ultima cosa che GRIGIO osò domandare.

«Non vedi?», disse la luna,
tentando un sorriso.
«Ogni notte, Lupo torna a cercarmi,
ululando il mio nome.
Siamo distanti, ma ognuno
ha nel cuore la forza dell’altro».
Un suono di richiamo
rimbombò nella foresta.
Uuuhhhh. Lento, preciso, struggente.

.

La luna brillò di più,
quindi scomparve, d’un tratto,
dietro le nuvole.
GRIGIO avvertì la tristezza,
ma anche la forza.
L’amore e il dolore.
E d’un tratto capì
di avere imparato una cosa,
ed era che non aveva importanza il colore.
Per non sentirsi spaiati,
l’importante era che
qualcuno ti portasse
per sempre dentro il suo cuore.

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